Artemisia annua L. in fieri

Non di rado accade che i livelli istituzionali e, di conseguenza, le nostre dimensioni clinico-assistenziali, vengano travolte letteralmente dall’enfasi, mediatica in ogni caso, scientifica non sempre, di novità terapeutiche “alternative”; questo è piuttosto diffuso nel settore oncologico, anche per motivazioni umanamente comprensibili, in cui il paziente ricorre all’automedicazione in più del 50% dei casi.

Con troppa frequenza, nella nostra attività di fitoterapia clinica fronteggiamo i casi più differenziati, alcuni dalle tinte sicuramente paradossali: clisteri di caffè, veleno di scorpione, prodotti provenienti da Asia, Africa e America del Sud assunti anche contemporaneamente anche senza razionale, il succo dell’Aloe o ancora la Gravìola… In questo scenario, nell’ultimo periodo la comunità scientifica ha condiviso alcuni studi sull’Artemisia Annua, pianta di origine cinese nota per le sue proprietà antimalariche. La prorompenza dei social network ha trasformato prime evidenze pre-cliniche, peraltro di significativo interesse, in una sicura panacea antitumorale. Quotidianamente, abbiamo richieste da pazienti che chiedono questo trattamento o, ancora, che già lo stanno utilizzando. Questo solo per tratteggiare il primo dimensionamento di un fenomeno che, ne sono certo, acquisirà dimensioni sempre crescenti.

Per questo abbiamo dato corpo ad un progetto specifico per valutare gli esiti della terapia a base di Artemisia, ed approfondirne i risultati in termini di tossicità, interazioni con farmaci oncologici ed effetti terapeutici favorevoli. Lo scopo è quello di sintetizzare solide evidenze scientifiche da condividere con la comunità scientifica. Se da un lato, infatti, la sintesi di eventuali risultati negativi dirimerà la questione e darà strumenti ai medici per proteggere adeguatamente i pazienti, dall’altro, eventuali risultati positivi ingenereranno nuove linee di ricerca e prospettive terapeutiche innovative di forte efficacia tali da attirare l’attenzione della comunità scientifica e ancor più dei pazienti a cui sarà necessario dare risposte clinicamente appropriate e numericamente adeguate.

Fabio Firenzuoli