Wall Street, la bolla della marijuana

La Borsa Usa scommette sui titoli dell’erba
GIUSEPPE BOTTERO, La Stampa, 10 Aprile 2014

Rialzi da capogiro per società oscure dal business incerto. A Wall Street le hanno battezzate «dot bong», con un gioco di parole tra la bolla dei titoli internet e le pipe ad acqua utilizzate per la marijuana.

Il capofila è Michael Mona junior, 25 anni nel mondo del business, moltissime ambizioni, soldi quasi zero. In compenso, una carriera parecchio accidentata: un mezzo flop la scommessa sull’attività alberghiera a Las Vegas, un flop totale la caccia alla licenza per aprire un casinò, sempre in Nevada.

Eppure il suo faccione divertito – capelli all’indietro, orologio d’oro in bella vista – da qualche mese rimbalza tra le pagine dei magazine di finanza più prestigiosi. L’ultimo a dedicargli un servizio è Fortune, che l’ha eletto a simbolo della nuova, stramba, carica di (futuri) milionari verdi: pionieri che hanno puntato tutto sull’industria della marijuana e ora, dopo la valanga delle liberalizzazioni, fanno il pieno di investimenti.

Il rally della CannaVest di Mona jr., specializzata nella produzione e nel commercio di prodotti a base di canapa, dura ormai da un anno: 12 mesi in cui ha visto balzare il valore delle sue azioni da 4 a 400 dollari. L’azienda con sede legale a Las Vegas è la punta dell’iceberg del mercato legale dell’erba, che negli Stati Uniti vale 2,34 miliardi di dollari e secondo gli analisti può schizzare a 10 miliardi. Negli Usa la legge federale classifica la marijuana come droga illegale, ma ormai in 20 Stati più il District of Columbia la vendita è autorizzata per uso terapeutico, e nello stato di Washington e in Colorado lo è anche per uso ricreativo. Per abbattere le barriere s’è mosso pure George Soros, che ha donato 80 milioni di dollari.

Il settore ha un indice – il Cannabis Index, balzato del 265% nei primi mesi dell’anno – e sta ereditando i tic del vecchio mondo dei lupi di Wall Street. Il Gekko, o aspirante tale, è un utente di Twitter che dietro l’hashtag #WolfPack dispensa consigli agli investitori. Si fa chiamare “Wolf of Weed Street”, ed è il reuccio delle penny stock, azioni di società con bassissima capitalizzazione, che operano fuori dagli scambi dei mercati principali, particolarmente volatili. Un esempio: Hpc Pos System ha messo a segno un balzo di quasi il 500% eppure il valore dei suoi titoli sta attorno ai 4 centesimi. Hemp, che produce abbigliamento in canapa, è decollato da 0,03 dollari a 0,2 in quindici giorni. Growlife, che il primo aprile valeva 0,04 dollari ora veleggia verso il dollaro. Terra Tech, infine, è cresciuta del 515%.

È qui, in quest’area ancora avvolta dalle nebbie, che rimbalzano i titoli delle società legate al business della marijuana. Gli americani le chiamano «dot bong,» un gioco di parole che mescola echi di new economy e pipe per la ganja. Le cose si muovono pure in Canada. La Tweed Marijuana inc., nel primo giorno di contrattazioni alla Borsa di Torono, ha chiuso a 2,59 dollari canadesi ad azione, con un incremento del 191 per cento rispetto al valore di 89 centesimi, basato sull’offerta privata dello scorso 7 marzo. L’azienda, ospitata in un ex fabbrica di cioccolato di Smith Falls, nell’Ontario, ha annunciato la scorsa settimana di avere acquistato 60 nuove varietà di semi di marijuana medica da coltivatori autorizzati. «La quotazione in borsa ci aiuta, perché ci dà più trasparenza e credibilità e ci servirà per la raccolta di capitali», dice il presidente Bruce Linton.

Come da tradizione, la bolla al momento produce pochi utili, e per credere nei manager bisogna armarsi di parecchia fiducia: molti hanno precedenti penali, spesso legati – appunto – all’uso di stupefacenti. Nella strana corsa c’è anche un aspetto sentimentale. Todd Harrison, veterano del floor, ha iniziato a puntare sull’erba nel 2012 e adesso si gode la pensione: in qualche modo, racconta, è tornato l’hippy di trent’anni fa.